mercoledì, novembre 24, 2010

AREA EURO...

Vi giro una nota molto interessante scritta da nostri collaboratori sulle recenti discussioni sulla riforma del patto di stabilita' e sulla creazione di un meccanismo permanente di gestione della crisi del debito all'interno dell'Area Euro.

Il tema va seguito con molta attenzione per i forti impatti che potrebbe avere sull'Area. Da quando e' iniziato il dibattito gli spread sui paesi periferici hanno per il momento ricominciato ad allargarsi in maniera significativa.

L’AREA EURO PROVA A RIFORMARE LA POLITICA FISCALE: GIUSTI GLI OBIETTIVI; MA ARDUO E RISCHIOSO REALIZZARLI

La crisi del debito sovrano scatenatasi questa primavera ha reso drammaticamente evidente la necessità di una riforma della politica fiscale all’interno dell’area euro.

Il Consiglio Europeo del 28/29 ottobre ha fatto concretamente un primo passo in tale direzione, decidendo di:

1) Riformare il Patto di Stabilità e Crescita, per renderlo più capace di prevenire la deriva dei conti pubblici. Pur andando nella direzione corretta, la riforma è meno ambiziosa di quella avanzata dalla Commissione e dalla BCE.

2) Predisporre un meccanismo permanente per affrontare la crisi di uno stato dell’area euro, per evitare il ripetersi di quanto accaduto questa primavera con la crisi greca. Tale meccanismo potrebbe prevedere anche il coinvolgimento del settore privato, che sarebbe pertanto chiamato a sostenere un costo, accanto ai contribuenti.

E’ quest’ultima la novità di rilievo del Consiglio di Ottobre, molto diversa dall’impostazione finora adottata con il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (European Financial Stability Facility, EFSF, nato questa primavera per arginare il contagio derivante dalla crisi greca e di durata triennale).

Quali potrebbero essere le conseguenze:

· Se realizzato efficacemente, questo meccanismo potrebbe ridurre l’azzardo morale e rafforzare così la disciplina e la tenuta dell’area euro.

· Però, andando a toccare aspetti che potrebbero richiedere la riformulazione del Trattato (a meno di un anno dall’entrata in vigore della riforma di Lisbona e dopo 8 anni di estenuanti trattative per partorirla), avvia un percorso politico/istituzionale dai risvolti incerti e difficilissimo da realizzare nei tempi previsti oggi dal Consiglio (il 2013).

· Soprattutto, le conseguenze di breve periodo per i paesi periferici potrebbero essere molto negative. Questi ultimi, di fronte ad un nuovo allargamento degli spread dei propri titoli di stato contro quelli della Germania, già iniziato subito dopo la decisione del Consiglio a causa della revisione al rialzo del rischio di default da parte del mercato, potrebbero paradossalmente decidere di gettare la spugna e chiedere l’accesso al EFSF prima che scada nel 2013.

· Infine, non vanno ignorate le preoccupazioni della BCE in merito al rischio sistemico di breve periodo di un default di uno stato membro per il sistema bancario dell’area euro, e non da ultimo anche per il bilancio della stessa BCE, costretta a maggio dalla pressione degli eventi ad avviare un programma di acquisto di titoli di stato dei paesi periferici, ma in un contesto in cui il default di un paese membro era escluso categoricamente.

1. La decisione del Consiglio

La riforma del Patto adottata dal Consiglio è una versione più debole di quanto proposto della Commissione Europea:

1) Al posto di un sistema di regole automatiche, avanzata dalla Commissione, resta al Consiglio la flessibilità di valutare caso per caso.

2) Sono predisposte sanzioni più incisive, ma che non scattano immediatamente sulla base della valutazione della Commissione, serve una decisione del Consiglio.

3) Viene invece accolta la proposta di elaborare “un meccanismo di macro-sorveglianza”, che valuti non solo le finanze pubbliche di uno stato, ma anche l’indebitamento del settore privato e la posizione competitiva di un paese. In quest’ambito non sono però previste sanzioni, al contrario di quanto auspicava la BCE.

Resta pertanto al Consiglio Europeo ancora un notevole arbitrio politico, che ha impedito al Patto di Stabilità di funzionare a dovere in precedenza e che non soddisfa la richiesta di maggiore automatismo invocata dalla BCE.

In cambio del sì tedesco a questa riforma più annacquata, voluta dalla Francia e dai paesi mediterranei, la Germania ha però ottenuto che si decidesse di predisporre un meccanismo permanente di risoluzione della crisi di un paese membro.

Il Consiglio inizierà a discuterne i dettagli dal prossimo meeting di dicembre. Si vuole disegnare una riforma “leggera”, che non vada a modificare il Trattato (non è chiaro però fino a che punto questo sarà possibile) e che sia coerente con la clausola di “non-salvataggio” iscritta nello stesso. Pertanto, verrà contemplata anche la partecipazione del settore privato. Significa che un eventuale piano di salvataggio di uno stato membro in difficoltà potrebbe includere, come parte dell’accordo di ristrutturazione, anche la sospensione dei pagamenti degli interessi e/o la perdita di parte del capitale prestato dall’investitore.

2. La posizione della BCE

La BCE ha manifestare direttamente la propria insoddisfazione in una nota diffusa al Consiglio, che si accingeva a discutere la riforma. E’ inusuale che la BCE prenda una posizione così forte, ma quest’ultima avrebbe preferito che gli stati facessero fin da subito il massimo per rafforzare la credibilità delle finanze pubbliche (con un maggiore automatismo delle sanzioni), invece che imbarcarsi in una riforma del Trattato.

La BCE è anche molto preoccupata per le potenziali ripercussioni negative nel breve periodo sui paesi periferici e sul sistema bancario dell’area, nonché sul proprio bilancio, visto che a maggio è stata chiamata a partecipare al “salvataggio della periferia”.

Per la BCE, inoltre, è velleitario credere che possa esistere qualche cosa come un meccanismo “ordinato” di default: disegnare e implementare un piano simile nella pratica è molto difficile.

Ma a nostro avviso l’aspetto che più la disturba è il timore che, se si inizia a parlare di default, venga meno l’incentivo dei paesi dell’area euro a fare le riforme strutturali necessarie.

3. Conclusione: impatti sul mercato

Parlare di default di uno stato membro in un momento in cui i paesi periferici sono così tanto in difficoltà è estremamente rischioso:

1. Il mercato riprezzerà verso l’alto il rischio di default e l’allargamento ulteriore degli spread potrebbe rendere impossibile il risanamento delle finanze pubbliche. Paradossalmente, dal punto di vista di un paese periferico che si trova oggi in difficoltà, il nuovo meccanismo potrebbe incentivare la richiesta di accedere ai fondi del EFSF, finché disponibili, posto che dal 2013 in poi il rischio di default aumenterà sensibilmente.

2. Appare molto probabile a questo punto che la Grecia sarà chiamata a ristrutturare il proprio debito nel 2013.

3. Infine, se per realizzare la riforma proposta dalla Germania bisognerà riscrivere il Trattato, e posto che non è credibile che un’impresa del genere riesca entro il 2013, non escludiamo che il mercato ricominci a prezzare anche il rischio che la Germania, frustrata dall’insuccesso, decida di uscire dall’area euro.

Per concludere: la proposta tedesca è corretta, coraggiosa e resta l’unica possibile per tenere unita l’area euro nel lungo termine: gli stati virtuosi non devono pagare gli errori di quelli irresponsabili. Ma rappresenta una sfida politico/istituzionale notevole, che rischia nel breve di acuire lo stress sui paesi periferici e vanificarne gli sforzi di aggiustamento.

GIANLUCA CECCHINI

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